sabato 7 maggio 2011

La scomparsa delle lucciole


Il confronto reale tra "fascismi" non può essere dunque "cronologicamente" tra il fascismo fascista ed il fascismo democristiano: ma tra il fascismo fascista ed il fascismo radicalmente, totalmente, imprevedibilmente nuovo che è nato da quel "qualcosa" che è successo una decina di anni fa. Poiché sono uno scrittore, e scrivo in polemica, o almeno discuto con altri scrittori, mi si lasci dare una definizione di carattere poetico-letterario di quel fenomeno che è successo in Italia una decina di anni fa. Ciò servirà a semplificare ed abbreviare il nostro discorso (e probabilmente a capirlo meglio). Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rocce trasparenti) sono incominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta). Quel "qualcosa" che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque "scomparsa delle lucciole"
(Pier Paolo Pasolini, Il vuoto del potere in Italia; Corriere delle Sera, 1975)



Con queste parole Pasolini descriveva in forma "poetica" la dittatura del consumismo. Impressiona in Pasolini la capacità di analisi "profetica". Ad oltre 35 anni in quell'articolo è facile leggere l'Italia di oggi e del suo neofascismo.
Come sosteneva lo stesso Pasolini, la dittatura del consumo si è affermata in pochi anni ed ha cancellato in Italia la secolare cultura contadina o la più recente cultura paleoindustriale. Prima e dopo l'Italia con tempi e dinamiche più o meno simili, la dittatura del consumo si è diffusa nel mondo.


La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose [...] Questo fatto non esprime altro che questo: l'oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone difronte ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che produce. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, è diventato una cosa, è l'oggettivizzazione del lavoro. [...] Questa realizzazione del lavoro appare allo stadio dell'economia privata come un annullamento dell'operaio, l'oggettivizzazione appare come perdita ed asservimento dell'oggetto, l'appropriazione come estraneazione, come alienazione.
(Karl Marx, Manoscritti economici-filosofici del 1844, Einaudi 2004, pag 68)

Marx spiega come nel lavoro che produce un valore d'uso l'operaio realizza la sua umanità, le sue abilità: il valore d'uso è un valore sociale. Quando invece il lavoro vale solo per la merce che produce, non viene più oggettivizzata l'umanità dell'operaio. Di conseguenza tutta la storia socio-culturale e biologica da cui provengono quelle abilità, che hanno permesso la produzione di quel prodotto, sono escluse. Tale esclusione porta inevitabilmente all'alienazione dell'operaio.
L'alienazione descritta da Marx non è altro che la scomparsa delle lucciole pasoliniana. L'anziano, che non riconosce nei nuovi giovani se stesso giovane, è l'uomo/operaio che non trova più nel mondo che ha prodotto la proprie tracce: "l'uomo completamente perduto a se stesso" (Karl Marx)


La ragione del successo del consumismo non risiede solo nella forza/ideologia economica del capitalismo e della politica che l'ha sostenuta, ma anche nella capacità che possiede di attivare meccanismi cognitivi che inducono ognuno di noi a consumare.
Non consumiamo per libera scelta, anche se spesso crediamo di farlo, né per un vero piacere. Dietro l'atto del consumo c'è la necessità di placare un'astinenza. L'atto del consumo porta ognuno di noi ad essere tossicodipendente. Il momento del consumo genera un piacere: breve, più o meno intenso, che lascia un senso di vuoto al suo termine. Più o meno come uno stupefacente.
Questo non crea, salvo in alcuni, veri e propri comportamenti patologici, ma processi cognitivi alla base del fenomeno (consumo/tossicodipendenza).
Fosse il consumismo una semplice dipendenza che provoca piaceri effimeri, non sarebbe nemmeno una tragedia. Il guaio è che questa dipendenza è una dittatura, che limita od annulla gli spazi di libertà, che misura le nostre vite in base di ciò che possediamo (la meritocrazia del possesso: più hai più meriti di avere), che impoverisce e deprime. Una dittatura del consumo che genera montagne di rifiuti solidi e, quel che è peggio, umani. Rifiuti umani incapaci di rispondere all'omologazione coatta fascista. Il consumismo agisce sulle nostre menti, mentre è impermeabile a qualsiasi influenza individuale. Si rimane soli e passivi davanti al potere del denaro. 


Eppure qualche lucciola c'è ancora. Lucciole che resistono.
Lucciole rosse.


sciopero generale CGIL 6 maggio 2011



A Torino la natura è stata particolarmente severa nella scomparsa delle lucciole. Questo ha determinato la selezione di ceppi molto resistenti, che non piegano la testa. Lucciole di Mirafiori, della Bertone (e Pomigliano).
La risposta che hanno saputo dare gli operai ai ricatti aziendali è il nucleo attorno al quale costruire la lotta di liberazione dalla dittatura del consumo. 
Le lucciole rosse di Mirafiori e della Bertone hanno attorno sé altre lucciole: studenti, precari, disoccupati. Mondi che prima erano separati se non in conflitto con il mondo operaio della fabbrica. Oggi si sgretola il muro della menzogna che ha posto in contrapposizione il mondo del lavoro precario con quello eufemisticamente "tutelato".


Iniziano le lucciole rosse anziane a riconoscere nei nuovi giovani se stessi giovani.


lucciola rossa pensante



Bibliografia


Pier Paolo Pasolini, Il vuoto del potere in Italia; 

Corriere delle Sera, 1975


Karl Marx, Manoscritti economici-filosofici del 1844,
Einaudi 2004, pag 68

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