domenica 15 aprile 2012

Città futura (I)

Ad Alberto G.

Un compito di questo blog antropologico è immaginare una "Torino futura". Descrivere una realtà, parziale come il suo punto di vista, implica in sé il desiderio di una realtà diversa. Senza il desiderio, senza un orizzonte possibile non ha senso cercare di capire, comunicare.
Quindi prima di disegnare una possibile città futura, prima di descriverne i germi in prospettiva, è necessario indagare cosa significa desiderare, in particolare desiderare una città futura.


E' necessario tornare sul tema dell'alienazione. Come appunto affermava Marx (vedi post "la scomparsa delle lucciole") "l'uomo è completamente perduto a se stesso", l'uomo viene privato della sua umanità attraverso il lavoro. Il lavoro non come realizzazione della propria umanità, come co-evoluzione dell'individuo e della società; ma il lavoro come strumento del capitale.


[Il capitale] ha un unico impulso vitale quello di valorizzarsi, di generare plusvalore, di assorbire con la sua parte costante, con i mezzi di produzione, la più grande massa di plusvalore che sia possibile.
Karl Marx, Il Capitale, 1867

Il plusvalore non è altro che la potenzialità umana, l'"essenza umana". Un animale umano si distingue da un animale non umano per la sua capacità biologica di poter immaginare, cioè il pensare il non reale, il possibile appunto. La natura umana è la natura del possibile.
Ciò che permette all'animale umano di pensare il possibile è una caratteristica della sua capacità biologica del linguaggio: l'infinità discreta.

Infinità discreta "in base alla quale da un insieme finito di elementi" si può generare "una matrice potenzialmente infinita di espressioni discrete" (Noam Chomsky, 2002). Questa capacità distingue in modo radicale le lingue umane da qualsiasi altro sistema di comunicazione animale.
Felice Cimatti, Naturalmente comunisti, 2011, pag. 39

Avendo dunque l'animale umano la "parola": l'animale umano ha un valore. Perciò l'infinità discreta è ciò che rende Umani. Si comprende meglio dunque l'importanza del diritto alla parola, come diritto inalienabile ed universale. Non una parola qualsiasi, ma la parola per essere Umana deve essere nuova, possibile, unica, pratica. La parola deve lanciarsi nel futuro, deve modellare e farsi modellare la società che la circonda: la parola come strumento dell'individuo per incidere nella società. La parola come valorizzazione dell'individuo, la parola è libertà.
Il capitale attraverso il lavoro dunque sottrae la parola, il possibile, in definitiva la libertà.
Dunque il capitale avendo come unico obiettivo quello di moltiplicare se stesso trasforma il lavoro umano in un mezzo (furto del possibile). L'oggetto diventa soggetto e il soggetto diventa oggetto.
All'uomo privato del possibile è un uomo privato del tempo: un uomo in schiavitù. 

Sento di essere stata una persona libera per 24 ore (domenica) e di dovermi riadattare a una condizione servile... senso di schiavitù 
Simone Weil, La condizione operaia, 1951 
Lo sfinimento rende quasi invincibile la più forte delle tentazioni che comporta questo genere di vita: quella di non pensare più, unico mezzo per non soffrire. Solo il sabato pomeriggio e la domenica mi tornano dei ricordi, dei lembi di idee, e mi ricordo che sono anche un essere pensante.
 Simone Weil, La condizione operaia, 1951

Questa prigione è una cella senza tempo e senza parole. E' un corpo ossessionato, violentato e, soprattutto, depresso. L'estetica, l'apparenza è l'unico mezzo comunicativo; ma esso vive solo nel presente. Non racchiude in sé il possibile, se non nella sua capacità biologica di generare una prole, che sarà anch'essa schiava.

Si tratta allora di riportare il lavoro, l'attività umana, al corpo/mente dell'animale della specie Homo Sapiens, all'animale del possibile. E così ridare spazio al "desiderio", a una mancanza che sia effettivamente immaginazione di mondi e modi alternativi rispetto al presente, e pertanto re-immettere l'esperienza del tempo nelle nostre vite.
Felice Cimatti, Naturalmente comunisti, 2011, pag. 154

Quindi desiderare è un atto di libertà, è pensare il futuro. Desiderare è rivoluzionario, ma solo nel momento in cui è pratico (praxis). Iniziare dal desiderare/immaginare una città futura vuole dire essere pratici, perché vicini, perché tangibili.

[L'utopia non è domani, è già oggi]: noi dobbiamo almeno perseguire l'idea di una via al socialismo che dalla scienza porti all'utopia e non di una via che dall'utopia porti alla scienza.
Hebert Marcuse, La fine dell'utopia, 1967

Partire/ripartire da Torino, già Città futura. Desiderare è vivere: Torino è viva!



Bibliografia
-Felice Cimatti, Naturalmente comunisti, Bruno Mondadori, 2011
-Hebert Marcuse, La fine dell'utopia, 1967; manifestolibri 2008
-Karl Marx, Il Capitale, 1867-, Newton Compton, 2005
-Simone Weil, La condizione operaia, 1951; SE, 1994
-Hauser Marc,  Chomsky Noam, Fitch Tecumseh; The faculty of linguage: what is it, who has it and how did it evolve?; "Science", 2002.