venerdì 6 luglio 2012

La fermata

Ad  Alessandra
Distrattamente
mi accorgo di una coppia stretta,
sulla panchina alla fermata dell'autobus,
respirare all'unisono.

A Torino l'amore scorre.
Scorre sui marciapiedi,
sazio di solitudine e violento.
Scorre in un rifugio di un portone.
Scorre in un auto ferma in collina.

Dietro i vetri appannati di un vecchio caffè,
due occhi e capelli neri.
Fuori la folla paralizzata prosegue
la folle corsa sotto i portici.

Anche i dritti viali di Torino curvano
nel momento dell'amore...
come tram silenziosi.



domenica 15 aprile 2012

Città futura (I)

Ad Alberto G.

Un compito di questo blog antropologico è immaginare una "Torino futura". Descrivere una realtà, parziale come il suo punto di vista, implica in sé il desiderio di una realtà diversa. Senza il desiderio, senza un orizzonte possibile non ha senso cercare di capire, comunicare.
Quindi prima di disegnare una possibile città futura, prima di descriverne i germi in prospettiva, è necessario indagare cosa significa desiderare, in particolare desiderare una città futura.


E' necessario tornare sul tema dell'alienazione. Come appunto affermava Marx (vedi post "la scomparsa delle lucciole") "l'uomo è completamente perduto a se stesso", l'uomo viene privato della sua umanità attraverso il lavoro. Il lavoro non come realizzazione della propria umanità, come co-evoluzione dell'individuo e della società; ma il lavoro come strumento del capitale.


[Il capitale] ha un unico impulso vitale quello di valorizzarsi, di generare plusvalore, di assorbire con la sua parte costante, con i mezzi di produzione, la più grande massa di plusvalore che sia possibile.
Karl Marx, Il Capitale, 1867

Il plusvalore non è altro che la potenzialità umana, l'"essenza umana". Un animale umano si distingue da un animale non umano per la sua capacità biologica di poter immaginare, cioè il pensare il non reale, il possibile appunto. La natura umana è la natura del possibile.
Ciò che permette all'animale umano di pensare il possibile è una caratteristica della sua capacità biologica del linguaggio: l'infinità discreta.

Infinità discreta "in base alla quale da un insieme finito di elementi" si può generare "una matrice potenzialmente infinita di espressioni discrete" (Noam Chomsky, 2002). Questa capacità distingue in modo radicale le lingue umane da qualsiasi altro sistema di comunicazione animale.
Felice Cimatti, Naturalmente comunisti, 2011, pag. 39

Avendo dunque l'animale umano la "parola": l'animale umano ha un valore. Perciò l'infinità discreta è ciò che rende Umani. Si comprende meglio dunque l'importanza del diritto alla parola, come diritto inalienabile ed universale. Non una parola qualsiasi, ma la parola per essere Umana deve essere nuova, possibile, unica, pratica. La parola deve lanciarsi nel futuro, deve modellare e farsi modellare la società che la circonda: la parola come strumento dell'individuo per incidere nella società. La parola come valorizzazione dell'individuo, la parola è libertà.
Il capitale attraverso il lavoro dunque sottrae la parola, il possibile, in definitiva la libertà.
Dunque il capitale avendo come unico obiettivo quello di moltiplicare se stesso trasforma il lavoro umano in un mezzo (furto del possibile). L'oggetto diventa soggetto e il soggetto diventa oggetto.
All'uomo privato del possibile è un uomo privato del tempo: un uomo in schiavitù. 

Sento di essere stata una persona libera per 24 ore (domenica) e di dovermi riadattare a una condizione servile... senso di schiavitù 
Simone Weil, La condizione operaia, 1951 
Lo sfinimento rende quasi invincibile la più forte delle tentazioni che comporta questo genere di vita: quella di non pensare più, unico mezzo per non soffrire. Solo il sabato pomeriggio e la domenica mi tornano dei ricordi, dei lembi di idee, e mi ricordo che sono anche un essere pensante.
 Simone Weil, La condizione operaia, 1951

Questa prigione è una cella senza tempo e senza parole. E' un corpo ossessionato, violentato e, soprattutto, depresso. L'estetica, l'apparenza è l'unico mezzo comunicativo; ma esso vive solo nel presente. Non racchiude in sé il possibile, se non nella sua capacità biologica di generare una prole, che sarà anch'essa schiava.

Si tratta allora di riportare il lavoro, l'attività umana, al corpo/mente dell'animale della specie Homo Sapiens, all'animale del possibile. E così ridare spazio al "desiderio", a una mancanza che sia effettivamente immaginazione di mondi e modi alternativi rispetto al presente, e pertanto re-immettere l'esperienza del tempo nelle nostre vite.
Felice Cimatti, Naturalmente comunisti, 2011, pag. 154

Quindi desiderare è un atto di libertà, è pensare il futuro. Desiderare è rivoluzionario, ma solo nel momento in cui è pratico (praxis). Iniziare dal desiderare/immaginare una città futura vuole dire essere pratici, perché vicini, perché tangibili.

[L'utopia non è domani, è già oggi]: noi dobbiamo almeno perseguire l'idea di una via al socialismo che dalla scienza porti all'utopia e non di una via che dall'utopia porti alla scienza.
Hebert Marcuse, La fine dell'utopia, 1967

Partire/ripartire da Torino, già Città futura. Desiderare è vivere: Torino è viva!



Bibliografia
-Felice Cimatti, Naturalmente comunisti, Bruno Mondadori, 2011
-Hebert Marcuse, La fine dell'utopia, 1967; manifestolibri 2008
-Karl Marx, Il Capitale, 1867-, Newton Compton, 2005
-Simone Weil, La condizione operaia, 1951; SE, 1994
-Hauser Marc,  Chomsky Noam, Fitch Tecumseh; The faculty of linguage: what is it, who has it and how did it evolve?; "Science", 2002. 

sabato 24 marzo 2012

Alba


È in quell'attimo
in quell'attimo lungo un giorno intero.
Tutto pare fermo,
allo spegnersi dei lampioni
la luce ancora fresca
non basta a cancellare la notte.

Si spengono i lampioni in piazza Cavour
con le fontane ancora addormentate,
si spengono i lampioni in periferia
ma non per l'uomo che rovista nei rifiuti.

Torino mezza addormentata
cambia turno:
braccia stanche ed occhi gonfi
con cravatte e tacchi.
Torino con i sedili dei tram congelati.

E in quell'attimo
mi pare di capirti.




mercoledì 7 marzo 2012

Torino e la quistione meridionale


Il centro della questione meridionale (QM) è Torino.
A Torino si intrecciano molti fili della storia d'Italia ed in particolare quelli riguardanti la questione meridionale.
La QM rimane ancor oggi un, forse il, tema fondamentale dell'intera nazione italiana. Anche quando, specie in quest'ultimi anni, si parla di questione settentrionale in realtà non è altro che il riflesso della sua omologa meridionale.
Si può credo affermare che la stessa rilevanza di un tema politico-sociale italiano è misurato sulla quistione. Nel caso in cui un tema non contenesse in sé anche la QM, questo tema è secondario. 

Chi, meglio di altri, ha colto il rapporto tra nord e sud e la necessità di unire le lotte tra proletariato urbano del nord e masse contadine del sud fu Antonio Gramsci. Non credo si possa affrontare la QM senza fare riferimento alla quistione meridionale gramsciana.
Già all'inizio della seconda decade del novecento, fu proprio Torino dunque il fulcro ideologico e politico della QM e del suo sviluppo e studio nei decenni a seguire.
Due sono infatti gli eventi simbolici che avvennero a Torino in quei anni. Il primo fu nel 1914, quando un gruppo socialista di "Ordine Nuovo" (Gramsci et al.) propose la candidatura di Gaetano Salvemini al IV collegio della città di Torino (Borgo San Paolo). In quella scelta c'è tutta la lungimiranza del pensiero gramsciano. Infatti, candidando Salvemini, noto meridionalista ed antigiolittiano, a Torino si univano simbolicamente due lotte proletarie fino ad allora estreanee ed in conflitto: quelle urbane del nord a quelle contadine del sud.
Scrive Gramsci su due comizi di Salvemini a Torino.

Tenne infatti due comizi grandiosi alla Camera del Lavoro e in piazza Statuto, tra la massa che vedeva ed applaudiva in lui il rappresentante dei contadini meridionali oppressi e sfruttati in forme ancora più odiose e bestiali che il proletariato settentrionale.
Antonio Gramsci, Alcuni temi della Quistione meridionale,  1926

Era dunque assorbito nel proletariato torinese il legame profondo che univa due mondi lontani non solo geograficamente, questo ben prima della massiccia immigrazione dal sud dal secondo dopoguerra in poi.
Purtroppo Salvemini rifiutò la candidatura, proponendo addirittura al suo posto un Mussolini allora ancora socialista. Comunque la QM entrò nel cuore del proletariato torinese, che "aveva dimostrato di aver raggiunto un altissimo grado di maturità e capacità politica" (A. Gramsci)

La modernità del proletariato torinese ed il suo spirito avanguardistico è protagonista anche del secondo evento simbolico.
Mi riferisco in particolare ai fatti dell'agosto del 1917, alla rivolta di uomini, donne e bambini contro la fame e le condizioni estreme di quei anni di guerra.
Per conoscere i fatti di allora vi consiglio la visione di una video intervista ad un testimone e protagonista di quell'evento, Giovanni Novaretti.





Quel tragico contatto tra i soldati della Brigata Sassari e gli operai torinesi è ben descritto in un colloquio tra un conciapelli emigrato di Sassari ed un giovane contadino di Sassari arruolato nella Brigata.

"Cosa siete venuti a fare a Torino?" "Siamo venuti a sparare contro i signori che fanno sciopero". "Ma non sono i signori quelli che fanno sciopero, sono gli operai e sono poveri". "Qui sono tutti signori: hanno il colletto e la cravatta: guadagnano 30 lire al giorno. I poveri io li conosco e so come sono vestiti, a Sassari, sì, ci sono molti poveri; tutti gli zappatori siamo poveri e guadagniamo 1,50 al giorno". "Ma anche io sono operaio e sono povero". "Tu sei povero perché sei sardo". "Ma se io faccio sciopero con gli altri sparerai contro di me?". Il soldato rifletté un poco poi [...] "Senti, quando fai sciopero con gli altri, resta a casa!". 
 Antonio Gramsci, Alcuni temi della Quistione meridionale,  1926 

Eppure, malgrado la gravità di quei fatti, fece breccia nei poveri soldati sardi la consapevolezza di classe. 

Essi hanno illuminato per un momento cervelli che non avevano mai pensato in quella direzione e che sono rimasti impressionati, modificati radicalmente
Antonio Gramsci, Alcuni temi della Quistione meridionale,  1926

Torino dunque ha saputo cogliere e capire la dimensione e l'importanza della QM. Perciò alla luce dei fatti del 1914 e 1917 si comprende perché Torino ha saputo accogliere centinaia di migliaia di immigranti dal sud Italia. Perché a Torino spetta il ruolo di simbolo dell'emigrazione.

Oggi, nei giovani immigrati dal sud non si osserva la giusta attenzione ai temi sociali. Si lavora e si convive assieme, certo, e senza apparenti conflitti. Eppure le giuste rivendicazioni di un sud, stremato da una disoccupazione impietosa, non si alleano alle lotte di una classe operaia torinese invisibile ai più ed umiliata. 
Ancora dopo un secolo è necessario risolvere la QM attraverso l'alleanza tra nord e sud. Ancora dopo un secolo abbiamo bisogno dello stesso coraggio delle donne e uomini di quel Agosto del 1917.


Bibliografia
Antonio Gramsci, Nel mondo grande e terribile. Antologia degli scritti 1914-1935
a cura di Giuseppe Vacca, Einaudi, 2007.

sabato 14 gennaio 2012

Coro granata




Al Filadelfia echi di gloria
il mito del Toro nella memoria.
Quando a Superga volasti in cielo
l'Italia intera pianse davvero.

Nella città furore e lotta
che al padrone ancora scotta.
Per questo, appunto, saresti nata
mia Torino solo Granata.
Per questo, appunto, saresti nata
mia follia maglia Granata.

Sono del Toro fin nel midollo
e dalla curva proprio non mollo.
Saremo uniti tutta la vita
la Maratona una e infinita.




Rivisitazione del canto di Rocco Traversa "Camicia Rossa" musicata da Luigi Pantaleoni (1860). 
Proposta per coro da stadio.




sabato 7 maggio 2011

La scomparsa delle lucciole


Il confronto reale tra "fascismi" non può essere dunque "cronologicamente" tra il fascismo fascista ed il fascismo democristiano: ma tra il fascismo fascista ed il fascismo radicalmente, totalmente, imprevedibilmente nuovo che è nato da quel "qualcosa" che è successo una decina di anni fa. Poiché sono uno scrittore, e scrivo in polemica, o almeno discuto con altri scrittori, mi si lasci dare una definizione di carattere poetico-letterario di quel fenomeno che è successo in Italia una decina di anni fa. Ciò servirà a semplificare ed abbreviare il nostro discorso (e probabilmente a capirlo meglio). Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rocce trasparenti) sono incominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta). Quel "qualcosa" che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque "scomparsa delle lucciole"
(Pier Paolo Pasolini, Il vuoto del potere in Italia; Corriere delle Sera, 1975)



Con queste parole Pasolini descriveva in forma "poetica" la dittatura del consumismo. Impressiona in Pasolini la capacità di analisi "profetica". Ad oltre 35 anni in quell'articolo è facile leggere l'Italia di oggi e del suo neofascismo.
Come sosteneva lo stesso Pasolini, la dittatura del consumo si è affermata in pochi anni ed ha cancellato in Italia la secolare cultura contadina o la più recente cultura paleoindustriale. Prima e dopo l'Italia con tempi e dinamiche più o meno simili, la dittatura del consumo si è diffusa nel mondo.


La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose [...] Questo fatto non esprime altro che questo: l'oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone difronte ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che produce. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, è diventato una cosa, è l'oggettivizzazione del lavoro. [...] Questa realizzazione del lavoro appare allo stadio dell'economia privata come un annullamento dell'operaio, l'oggettivizzazione appare come perdita ed asservimento dell'oggetto, l'appropriazione come estraneazione, come alienazione.
(Karl Marx, Manoscritti economici-filosofici del 1844, Einaudi 2004, pag 68)

Marx spiega come nel lavoro che produce un valore d'uso l'operaio realizza la sua umanità, le sue abilità: il valore d'uso è un valore sociale. Quando invece il lavoro vale solo per la merce che produce, non viene più oggettivizzata l'umanità dell'operaio. Di conseguenza tutta la storia socio-culturale e biologica da cui provengono quelle abilità, che hanno permesso la produzione di quel prodotto, sono escluse. Tale esclusione porta inevitabilmente all'alienazione dell'operaio.
L'alienazione descritta da Marx non è altro che la scomparsa delle lucciole pasoliniana. L'anziano, che non riconosce nei nuovi giovani se stesso giovane, è l'uomo/operaio che non trova più nel mondo che ha prodotto la proprie tracce: "l'uomo completamente perduto a se stesso" (Karl Marx)


La ragione del successo del consumismo non risiede solo nella forza/ideologia economica del capitalismo e della politica che l'ha sostenuta, ma anche nella capacità che possiede di attivare meccanismi cognitivi che inducono ognuno di noi a consumare.
Non consumiamo per libera scelta, anche se spesso crediamo di farlo, né per un vero piacere. Dietro l'atto del consumo c'è la necessità di placare un'astinenza. L'atto del consumo porta ognuno di noi ad essere tossicodipendente. Il momento del consumo genera un piacere: breve, più o meno intenso, che lascia un senso di vuoto al suo termine. Più o meno come uno stupefacente.
Questo non crea, salvo in alcuni, veri e propri comportamenti patologici, ma processi cognitivi alla base del fenomeno (consumo/tossicodipendenza).
Fosse il consumismo una semplice dipendenza che provoca piaceri effimeri, non sarebbe nemmeno una tragedia. Il guaio è che questa dipendenza è una dittatura, che limita od annulla gli spazi di libertà, che misura le nostre vite in base di ciò che possediamo (la meritocrazia del possesso: più hai più meriti di avere), che impoverisce e deprime. Una dittatura del consumo che genera montagne di rifiuti solidi e, quel che è peggio, umani. Rifiuti umani incapaci di rispondere all'omologazione coatta fascista. Il consumismo agisce sulle nostre menti, mentre è impermeabile a qualsiasi influenza individuale. Si rimane soli e passivi davanti al potere del denaro. 


Eppure qualche lucciola c'è ancora. Lucciole che resistono.
Lucciole rosse.


sciopero generale CGIL 6 maggio 2011



A Torino la natura è stata particolarmente severa nella scomparsa delle lucciole. Questo ha determinato la selezione di ceppi molto resistenti, che non piegano la testa. Lucciole di Mirafiori, della Bertone (e Pomigliano).
La risposta che hanno saputo dare gli operai ai ricatti aziendali è il nucleo attorno al quale costruire la lotta di liberazione dalla dittatura del consumo. 
Le lucciole rosse di Mirafiori e della Bertone hanno attorno sé altre lucciole: studenti, precari, disoccupati. Mondi che prima erano separati se non in conflitto con il mondo operaio della fabbrica. Oggi si sgretola il muro della menzogna che ha posto in contrapposizione il mondo del lavoro precario con quello eufemisticamente "tutelato".


Iniziano le lucciole rosse anziane a riconoscere nei nuovi giovani se stessi giovani.


lucciola rossa pensante



Bibliografia


Pier Paolo Pasolini, Il vuoto del potere in Italia; 

Corriere delle Sera, 1975


Karl Marx, Manoscritti economici-filosofici del 1844,
Einaudi 2004, pag 68

martedì 19 aprile 2011

Immigrazioni parallele


a Pino Cardinale

Cerco un uomo senza una canzone
Tra le case rosse bolognesi
Con arida terra di Sicilia sul calzone
Mille volte stirati e stesi.

Un uomo con un destino ingrato,
fragile nella sua breve vita,
con il suo sguardo da immigrato,
Ed un vetro in equilibrio tra le dita.

Ti cerco tra mille foto
Lungo un anonimo cimitero,
ti ritrovo in un bianchino...
Secco, buono e sincero.

Ti cerco tra i tavoli di una trattoria
O dentro gli angoli di una via,
Dove rimango solo senza un'emozione
Perché non sei venuto a raccontarmi l'ultima canzone.